Il 19 luglio sono vent’anni dal G8 di Genova e come ogni anniversario sembra inevitabile soffermarci sulle violenze subite dai manifestanti, sulla gestione scriteriata della piazza durante le giornate del Social Forum. Ogni anno denunciamo le violenze della Diaz e di Bolzaneto, contestiamo la sospensione delle garanzie democratiche a danno di manifestanti e militanti e ricordiamo l’inaccettabile morte del ventenne Carlo Giuliani. Un atteggiamento di rivendicazione più che legittimo che chiede che, a distanza di anni, sia fatta giustizia e verità su quelle quarantotto ore terribili. Ma rimanere solo su questo, a distanza di vent’anni, significa fare di nuovo il gioco di chi ha voluto coprire con il sangue le giuste richieste, le idee innovative e i rimedi concreti che si proponevano in quel periodo.
Vent’anni sono un tempo sufficiente per cercare di andare oltre la denuncia e far riemergere le tematiche di quel movimento straordinario e soprattutto l’attualità delle posizioni e delle proposte elaborate.
Per comprendere meglio la portata del movimento NoGlobal, o come preferivamo farci chiamare AlterMondialista, occorre sapere che c’è stato un PRIMA, un DURANTE e un DOPO il G8 di Genova.
Sul “durante” è stato scritto molto, sono stati prodotti film, documentari. Per questo non dobbiamo mai smettere di ringraziare il lavoro incessante degli avvocati del Genova legal forum, dell’associazionismo per i diritti umani, ma soprattutto Haidi e Giuliano Giuliani, i genitori di Carlo, per la loro tenacia e il loro impegno per fare verità sui fatti vergognosi avvenuti durante le manifestazioni del G8 e sui successivi tentativi di insabbiamento.
Nel 2017 il Capo della Polizia Franco Gabrielli, nominato qualche mese prima, in un’intervista su La Repubblica ha dichiarato: “A Genova morì un ragazzo. Ed era la prima volta dopo gli anni della notte della Repubblica che si tornava ad essere uccisi in piazza. A Genova un'infinità di persone incolpevoli subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. E se tutto questo, ancora oggi, è motivo di dolore, rancore, diffidenza, beh, allora vuol dire che, in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente. Né è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori.”
Le violenze di quei giorni hanno oscurato le questioni che il movimento con efficacia portava avanti. Purtroppo anche oggi, chi evidenzia solo le brutalità del G8 di Genova è come quel reduce per cui la guerra non è mai finita e lascia chiuse nel buio di una cella di Bolzaneto quelle istanze e tematiche che, se messe in luce, apparirebbero evidentemente più attuali che mai.
Sappiamo che se i potenti della terra non avessero ignorato i problemi che si ponevano all’epoca, se la sinistra governativa italiana ed europea avessero colto a pieno quelle sollecitazioni, forse non avremmo avuto la crisi finanziaria del 2008, il default della Grecia, l’imperversare dei populismi e l’emergenza climatica che sembra irreversibile. Avremmo risparmiato migliaia vite annegate nel mediterraneo e avremmo affrontato la pandemia probabilmente con più efficacia.
Un volta attribuiti i torti e le ragioni, occorre invece ricordare che al
Genova Social Forum aderirono
1.187 organizzazioni: associazioni pacifiste, partiti, cooperative sociali, sindacati, ONG italiane e internazionali, centri sociali e addirittura ordini religiosi di suore. Tutti facevano riferimento direttamente o indirettamente al primo Forum Sociale Mondiale del Gennaio 2001 svoltosi a Porto Alegre, il quale inaugurò il nuovo secolo con l’ambiziosa affermazione: “
Un altro mondo è possibile!”
In questo entusiasmante clima di lotta e desiderio di fare rete nacque così un movimento mondiale: il movimento dei movimenti, come spazio aperto di riflessione, critica e confronto tra diverse culture come quelle laiche, cristiane, ecologiste e socialiste. Il nord e il sud del mondo, l’oriente e l’occidente. Tutti consapevoli che ognuno stava lavorando su diversi livelli per costruire un’alternativa concreta al neoliberismo che schiacciava i popoli.
Questo movimento, che partiva dall’America Latina e arrivava fino all’India, poneva al centro alcune questioni chiave come i diritti umani, le pratiche di democrazia partecipativa, la tutela delle diversità, che spaziavano da quelle culturali a quelle biologiche a difesa dell’ambiente, la pace, la cancellazione del debito estero dei paesi del sud del mondo, l’uguaglianza e la solidarietà tra i popoli, tra i generi, le etnie, l’accesso universale alle risorse idriche e alle cure sanitarie. Si parlava di sviluppo sostenibile, cambiamenti climatici, deforestazione e allevamenti intensivi. Si metteva l’accento sulle storture del capitalismo neoliberista globalizzato che produceva una distribuzione iniqua della ricchezza, una perdita delle identità culturali con danni sociali e ambientali spesso irreparabili. Si proponeva la TobinTax: una tassa mondiale per una più equa distribuzione della ricchezza, tema che addirittura oggi ha proposto Biden al G20 (global minimun tax). Si criticavano le case farmaceutiche che, con il monopolio sui “brevetti”, negavano l’accesso alla cura del HIV/AIDS (all’epoca faceva più di due milioni di vittime all’anno).
La trasversalità e la pluralità, la capacità di contaminare e contaminarsi sono stati gli elementi che hanno permesso a quel movimento di guadagnarsi il centro del dibattito politico e non di certo le vetrine rotte di una banca. Semmai il contrario: le violenze dei black bloc e gli abusi delle forze dell’ordine lo hanno relegato a un problema di ordine pubblico. Niente di nuovo per il nostro paese che ha vissuto gli anni di piombo e la strategia della tensione che è stata la leva per mantenere lo status quo.
Quel movimento globale in cui si è tentato di mettere insieme le istanze degli indios del Chiapas con quelle dei piccoli agricoltori francesi, i diritti umani delle donne indiane con il diritto al lavoro degli operai esclusi dalla delocalizzazione, i missionari cattolici con i centri sociali, non è morto a Genova. Si dimostrò a Ottobre del 2001 ad Assisi, nella Marcia per la Pace con la presenza di 200.000 persone, proprio mentre gli USA preparavano “la guerra permanente” in risposta all’11 Settembre. Poi nel 2002, in una Firenze blindata e terrorizzata per gli eventi del Social Forum Europeo, con la presenza di 700.000 persone che sfilavano pacificamente e resero evidente a tutti che quel movimento non era riconducibile solo alla “protesta di piazza” ma era un insieme di migliaia di cantieri sociali e laboratori di idee sparsi in tutto il mondo.
Negli anni successivi quelle energie poi sfociarono nel movimento per la pace: più di 120 milioni di donne e uomini scesero in piazza in oltre 600 città dei cinque continenti il 15 febbraio 2003 per manifestare contro la guerra in Iraq che sarebbe iniziata poco più di un mese dopo. Il New York Times titolò che il movimento pacifista era “la seconda potenza mondiale”, dopo gli USA.
Alessandro Leogrande, prendendo in prestito la metafora di Ignazio Silone, diceva che il movimento che si è reso visibile al G8 di Genova è “il seme sotto la neve”. Ha dato qualche frutto e può ancora germogliare. In Italia, il reddito di cittadinanza e la vittoria del referendum sull’acqua pubblica del 2011 sono sicuramente frutto del Social Forum, così come lo fu, qualche anno fa, il movimento Occupy Wall Street e oggi lo sono Fridays For Future, Black Lives Matter e il movimento femminista #MeToo. Movimenti che travalicano i confini nazionali e propongono un cambiamento radicale. Sono capaci di uscire dal ghetto dell’antagonismo militante e di imporre l’agenda politica.
Ancora oggi persistono molte questioni irrisolte che il liberismo ha addirittura aggravato: la distribuzione iniqua della ricchezza, l’accesso alle cure riservate solo ai più ricchi del pianeta, l’ingiustizia climatica, le discriminazioni delle minoranze. I troppi “Stefano Cucchi” e i fatti emersi recentemente dal carcere di Santa Maria Capua Vetere ci dicono che le violenze e le torture da parte delle forze dell’ordine non sono archiviate. Proprio perché intorno a noi sono presenti ancora queste contraddizioni e sofferenze, dobbiamo avere la fermezza di continuare a sostenere che “Un Altro Mondo è possibile, una Altro Mondo è necessario!” lavorando quotidianamente alla ricerca di soluzioni, realizzando alternative praticabili, costruendo reti d’iniziative locali dal basso e anche di più ampio respiro. Occorre avere il coraggio del confronto tra i diversi punti di vista, recuperare quella pluralità e trovare uno spazio concreto di interlocuzione con la politica che in questi anni è mancato. Le idee non muoiono solamente se vengono messe in circolo.
(Articolo pubblicato per L'Agone )